Come giara a Cana
in cui l’acqua stagnante
è divenuta vino di festa.
Dal fondo,
in vortice concentrico,
smarrita, ogni goccia
teme di lasciarsi andare
nel rubino che la penetra
e la dissolve.
Ma è inebriata
e cede.
La parete porosa avverte
la densità diversa
del liquido che ora la riempie,
corposo
del profumo del sole,
della dolcezza dell’incontro,
del dolore della potatura,
delle lacrime del torchio.
Spinge il vino
e preme
e invoca la mescita.