La pandemia ci ha chiusi in casa e ora ci ricorda che serve il dominio equilibrato delle nostre emozioni
Il pericolo del virus non va sottovalutato e sarebbe bene ne parlassero solo gli specialisti, con il linguaggio e i toni adatti alla circostanza.
Ma siamo nell’era della comunicazione e questa, spesso, prende il sopravvento sui contenuti. Basta fare zapping a qualunque ora e si trovano sempre programmi, di vario tipo, in cui si parla del virus, con competenze non proprio sempre specchiate. Un fenomeno, certamente importante, si è trasformato in un dramma collettivo, vissuto più in modo emozionale che razionale.
La nostra reazione appare davvero improntata di una paura che ricorda le pesti antiche. Che senso hanno le code ai negozi per acquistare regali natalizi e ai supermercati per l’accaparramento di cibo?
Il virus è stato associato allo straniero (era accaduto la stessa cosa con l’aids: stranieri e omosessuali, cioè diversi) e il senso di pericolo viene amplificato.
La paura è altrettanto contagiosa del virus, se poi alimentata da una sovraesposizione mediatica la sua influenza sul nostro immaginario aumenta a dismisura. Siamo vittime dell’informazione! In un’epoca di paure, in cui le emergenze sembrano inseguirsi l’una con l’altra, causando uno stato di allarme perenne, di tensione continua, di surriscaldamento sociale, diventa sempre più difficile guardare con occhi sereni ciò che ci accade intorno. Ci sentiamo appesantiti da confusione e incertezza.
Nel corso della propria esistenza ciascuno di noi ha provato l’esperienza della paura di perdersi, la paura di un pericolo imminente e quando ci siamo confrontati con gli altri ci siamo accorti che non ne esiste solo una di paura.
Ognuno di noi ha un proprio modo di rappresentarla, di viverla e perché no, di immaginarsela. Spiegarla e descriverla non è sempre facile, ma un tentativo è doveroso. La paura è spesso associata alla solitudine. A tale proposito, ricordiamo le parole del Piccolo Principe per tradurre le immagini in forma scritta.
“Da te, gli uomini”, disse il Piccolo Principe, “coltivano cinquemila rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercano”… “E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua”… “Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore”. (Saint-Exupéry, 1943, pag.108).
Se riflettiamo sulle parole del Piccolo Principe ci rendiamo conto che esse esprimono la condizione umana d’oggi: un uomo che ricerca all’esterno i significati delle cose allontanandosi sempre di più dalla fonte originaria interiore. Il Piccolo Principe lancia un messaggio di ricerca e indica la strada, la stessa che possiamo percorrere noi quando parliamo di solitudine.
La solitudine, avvolta dal manto grigio della paura, per sua natura, tocca profondamente tutti gli uomini, è ineliminabile, ci accompagna per tutta la vita e per alcuni, i più fortunati, può diventare la strada della ricerca interiore.
Però, la solitudine, nonostante offra all’uomo innumerevoli opportunità per maturare e divenire un soggetto autonomo, è spesso ricettacolo di valenze negative. È una condizione spiacevole, a volte spaventevole, che spesso diventa un nemico da fuggire a tutti i costi.
L’uomo contrappone alla solitudine un vivere caotico, un mondo costellato da relazioni, disseminato di suoni e immagini e affastellato da azioni. Per non vivere l’esperienza della solitudine, siamo disposti a tutto.
Ma… la solitudine non è solo disperazione, è anche speranza e forza conquistata nel riconoscimento di una propria individualità, tanto è vero che esiste una felicità e/o una serenità nella solitudine. Ed è per questo che occorre rieducare le persone alla solitudine rendendola uno strumento che permette di realizzare un vero incontro con il proprio sé, di far germogliare le emozioni che proviamo, di ridare valore al silenzio, come atto preparatorio al comunicare e al relazionarci con gli altri.
Spesso sentiamo parlare della paura della solitudine e poco della capacità d’essere soli. Durante il nostro sviluppo psicofisico, se non abbiamo subito dei gravi traumi, dall’infanzia ad oggi, abbiamo sperimentato, magari gradualmente, un essere soli anche in presenza dell’altro.
La fiducia e l’autostima, costruite dentro di noi negli anni della crescita, ci hanno permesso di controllare la solitudine e le paure, di riconoscere i sentimenti che animano la parte profonda di noi stessi e di esprimerli con sincerità e coraggio. In questo tempo di prova e di rallentamento della corsa proviamo a stabilire un momento di solitudine e di silenzio; ci aiuta a ritrovare noi stessi nell’oceano della vita.
Se vogliamo che i nostri figli diventino capaci di incarnare alcuni valori fondamentali per vivere dentro questo mondo, senza perdere se stessi e la propria dignità, occorre educarli fin da piccoli ad ascoltare il battito del cuore, il mormorio dei loro sentimenti ed emozioni… la propria coscienza…
E come? Solo se nei nostri ambienti ritorna un po’ di silenzio, e riusciamo a creare e interpretare angoli di solitudine, in modo particolare nella contemplazione della natura. La pandemia ci ha chiusi in casa, nella prima parte di questo anno 2020, ed ora ci ricorda che la paura del contagio chiede rispetto, ascolto, e un equilibrato dominio delle nostre emozioni: ansia e paura.
La paura più grande nei bambini e mascherata tra i giovani e gli adulti è la solitudine. Anche il Piccolo Principe teme la solitudine, ma l’affronta. Prima di partire deve lasciare la sua rosa. La stessa paura l’assale sulla terra, nel deserto: convinto di incontrare gli uomini. È qui che il serpente emette la sentenza sulla quale bisogna soffermarci a riflettere “si è soli anche con gli uomini”.
In tutto il libro compaiono riferimenti sì, all’amicizia, ma anche alla solitudine, alla tristezza e alla paura, quasi a sottolineare che nella vita, nonostante le belle esperienze, ci sono eventi duri da accettare, come la separazione, il distacco e la morte (Saint-Exupéry).
Anna Maria Vissani