Di Gesù restano solo i segni del corpo morto e assente, sicché il sepolcro (mnemeîon in greco: lett. “memoriale”) è memoria immota, cimiteriale, morta. La Scrittura, che sempre è segno di un’assenza (lo scritto rimpiazza la presenza), è invece memoriale di un vivente e memoria vivificante: accostata al vuoto della tomba essa la riempie di una parola che è all’origine della resurrezione perché è la parola stessa del Dio della vita.
Cercare colui che è assente, vedere colui che non è visibile, trovare colui che non ha un luogo identificabile: questi sono gli elementi che caratterizzano la ricerca del Signore anche oggi. L’assenza di Dio da motivo di lamento deve passare a condizione di ricerca. Da fuggire è la pretesa di sapere o di stabilire con certezza dove sia il Cristo, dove sia da cercare e dove no. Fuga da attuarsi in obbedienza alle parole di Gesù: “Se qualcuno vi dirà: ‘Ecco, il Cristo è qui, ecco è là’, non ci credete” (Mc 13,21).
È un preciso invito alla non-fede che Gesù fa. Non-fede necessaria alla fede nel Risorto. E occorre non credere a chi vuole dare visibilità a Cristo dicendo: “Sono io” (Mc 13,5). “Non in modo osservabile” viene il Regno, e nessuno può dire “Eccolo qui, eccolo là” (Lc 17,21). Pretendere di individuare e circoscrivere il luogo del Risorto è operazione idolatrica, fatta dai manipolatori del religioso, che non sopportano l’insicurezza e la fatica della ricerca a cui obbliga il non est hic (“non è qui”: Mc 16,6). (commento di Manicardi).