L’arte della misericordia
Perdonare non è ‘dimenticare’. Non si tira un segno di penna sopra, non si ‘gira pagina’, non si ‘lascia perdere’, non si ‘aggiustano’ le cose: non si dimentica! Quando una corda è rotta, si può fare un nodo, ma resterà sempre quel nodo nel punto in cui la corda è stata riparata. Occorre lasciare spazio alle proprie ferite, per curarle con il perdono.
Bisogna scovare l’aggressione nascosta dentro di noi per trasformarla. Bisogna mettere la sofferenza all’esterno di sé fino al giorno in cui non si soffrirà più. Cristo è risorto, ma conservando il segno dei chiodi nelle sue mani. Perdonare non è dimenticare. Bisogna perdonare chi, che cosa? Un graffio? Ci possiamo passar sopra. Ma una ferita profonda penetra nel subconscio.
Ci sono offese che è umanamente impossibile perdonare. Il papà e la mamma che vedono la loro figlia morta, dopo essere stata violentata e ferita crudelmente, non dimenticheranno mai lo spettacolo di quel corpo. Si dice che bisogna dimenticare, ma Dio ha creato la memoria. E nel Vangelo ci dà la capacità di perdonare, che talvolta rientra nella sfera del miracoloso.
Ma non potrete mai dimenticare completamente l’offesa che vi è stata inflitta. Però, ogni volta che ripenserete alla colpa dell’altro, la vostra memoria vi ricorderà anche che gli avete perdonato. La psicologia del profondo e la psicanalisi ci ricordano che le ferite dimenticate lasciano tracce fisiche, psichiche, spirituali, comportamentali. Voler soffocare la memoria può causare grossi danni psicologici, perché un giorno il ricordo uscirà di nuovo.
Il filosofo Paul Ricoeur diceva che la condizione del perdono è la «vera memoria» liberata dall’ossessione. «Dimenticare? Impossibile. Bisogna ricordarsi di tutto per poter perdonare», diceva Jorge Semprún. Bisogna che la memoria sia molto forte, molto precisa, se si vuole perdonare davvero. Solo Dio può perdonare infinitamente. Il Signore getta i nostri errori in fondo al mare.
È nota la storia di Maïti Girtanner, una donna svizzera che, a quarant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha ritrovato il suo aguzzino, un medico delle Ss che aveva condotto su di lei degli ‘esperimenti’. Maïti, una giovane promessa della musica, era entrata nella Resistenza all’età di diciotto anni, dopo che i tedeschi avevano occupato la Francia. Nel 1943 fu arrestata dalla Gestapo.
Le sevizie inflittele dal suo aguzzino le provocarono sofferenze insopportabili per tutta la vita, che le preclusero per sempre il sogno di riprendere a suonare il piano, la sua passione. Quell’ex medico nazista volle incontrarla quando seppe di essere stato colpito da un male incurabile. Anche se l’operato di Maïti Girtanner come partigiana è già di per sé testimonianza di una fede formidabile nell’umano, è il suo perdono che entrerà nella Storia.
Nei terribili anni di solitudine che trascorse dopo la guerra, Maïti ebbe un desiderio folle di perdonare il suo torturatore per non ritrovarsi distrutta, questa volta nell’anima. Pregò per lui per quarant’anni. Fino a quel giorno del 1984 in cui ricevette una telefonata. Riconobbe la voce. Accettò di vederlo. Gli parlò dell’Amore di Dio.
«Nel momento di congedarsi – racconta Maïti Girtanner nel suo libro Même les bourreaux ont une âme – era in piedi, alla testa del mio letto, e un gesto irrefrenabile mi ha sollevato dai miei guanciali, benché mi facesse molto male: l’ho abbracciato per deporlo nel cuore di Dio. Lui mi ha detto, a voce molto bassa: ‘Perdono’. Era il bacio della pace che era venuto a cercare. Da quel momento ho compreso che avevo perdonato». Guy Gilbert
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