Questa pandemia costituisce una prova per la società intera che può uscirne indebolita o rafforzata
La speranza è colei che ti dà la carica per camminare ogni giorno, semplicemente e a testa bassa, rimanendo fedeli anche nel tempo della prova.
Una lunga telefonata da parte di un’amica che vive a Roma, proprio in questi giorni. Si chiama Luisa. Tra le lacrime e la voce interrotta da singhiozzi mi parla della sua malattia da Covid-19.
«Ho vissuto momenti di disperazione, giorni e notti di atroce sofferenza in tutto il corpo, impossibilità di prendere cibo per mancanza di appetito e di sapori… Ho pianto nella mia solitudine, e ancora piango nella faticosa risalita. Mi sono curata a casa, con l’assistenza telefonica del mio medico. Non poter veder nessuno, non avere un piccolo sostegno umano per alzarmi dal letto, quando la mia prostrazione fisica mi impediva di tirarmi su e stare un po’ seduta. Mi sono sentita nel cuore di un inferno che brucia corpo, mente, cuore, e impedisce di amare i giorni, le ore e la propria stessa esistenza».
«Due cose mi hanno e mi stanno aiutando: la Tachipirina e la preghiera. Due farmaci che mi permettono di vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Credimi, amica e sorella carissima, questo virus è troppo potente, aggredisce e non lascia scampo. Ho versato lacrime, ho urlato nella solitudine del mio piccolo appartamento e ancora attendo giorni migliori. Aspetto la Luce! Aiutami a sperare ancora, ad alzare lo sguardo in Alto, e a credere che è possibile ritornare a vivere!»
Sperare si può
«Sperare a testa bassa ogni giorno è la cosa più difficile, disperare è la tentazione». La speranza è la seconda delle virtù cardinali: fede, speranza, carità. Péguy la rappresenta così: «È la sorella più piccola, le altre sono più alte, forse più importanti».
Cosa succede? Succede come quando due genitori stanno camminando per strada, incontrano uno e si fermano a parlare, oppure si fermano davanti ad una vetrina. Il bambino piccolo che cosa fa? Tira, li fa muovere. Se non ci fosse la speranza, fede e carità non andrebbero avanti.
Non avremmo il futuro. Provo inviare a Luisa, quasi ogni giorno, messaggi di speranza: «Speriamo insieme e ci rivedremo presto, per cantare l’esultanza della vittoria sul male. Non smettiamo di lottare… io sono con te! Come scrive Etty Hillesum: “Possiamo soffrire ma non soccombere”».
Riportare al cuore
Piccola ma potente fiaccola è la speranza che irrompe nella notte del nostro tempo! Essa ha bisogno d’essere accompagnata dalla memoria.
«Siamo davanti ad una civiltà tendenzialmente smemorata – afferma il cardinale Ravasi -, che non ha speranza nel futuro e non guarda al passato. Il che vuol dire che ha un presente frammentato, vuoto. “Ricordare” è “riportare al cuore”, quindi è un’esperienza. Giorgio Pasquali nel suo “Filologia e storia” scriveva che chi non ricorda non vive. L’Alzheimer, malattia del nostro tempo, non ti cancella solo la memoria, ti cancella la vita».
Siamo chiamati ad aiutare le giovani generazioni a fare un costante esercizio di “riportare al cuore” esperienze e risorse positive che animano il loro vivere quotidiano e la relazione fiduciosa.
Il Bello e il Buono di tutti noi, la lode della creazione amata e voluta da Dio, l’arte espressione dello stupore dell’animo umano, la poesia e la musica dei piccoli, dei grandi e dei più anziani, possono infettare la nostra società con il virus della positività, della vicinanza, dell’ascolto reciproco, della consolazione nel tempo del dolore.
La notte, anche questa notte, è abitata dal mistero della vita: fragilità, ricerca di senso, desiderio d’essere amati, voglia di vivere, attesa fiduciosa della luce. Occorrono sempre più persone che iniettano il vaccino della speranza, per impedire al mondo di essere un cimitero. La speranza continuamente spinge ad andare oltre, ad attendere, ad avere fiducia, a credere in un’alba diversa, in una meta, in un significato.
Mi confessava ancora Luisa: «Alcune notti sono state terribilmente soffocanti, lunghe e senza spiraglio di vita. Appena riuscivo a percepire la luce del giorno nutrivo la certezza di essere ancora viva. Mi sono sentita più volte “impestata”, come i lebbrosi al tempo del Vangelo. Ho invocato allora l’abbraccio sanante del Signore!».
Questa “pandemia Covid” costituisce una prova per la società intera che può uscirne indebolita o rafforzata.
«Potremmo andare verso una disgregazione oppure sperimentare una forma di resilienza e uscirne rigenerati, se solo cambiamo strada». (Morin)
Recuperiamo il coraggio di ritirarci più spesso, con umiltà e saggezza, nella nostra interiorità “abitata” e nella solitudine spesso travagliata per la paura! Ci scopriremo capaci di riflettere, scovare in noi la parola che ha senso, e infine ritrovare noi stessi.
Anna Maria Vissani
(nel giornale ONLINE “QDM NOTIZIE”, 20 novembre 2020)